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LONGFORM
Invecchiamento:
una questione sociale e sanitaria.
Da affrontare insieme

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Titolo articolo

di Letizia Gabaglio

Come periodicamente attestato dall’Istat, l’Italia diventa un Paese sempre più vecchio. Oggi sono oltre 4 milioni e mezzo i
“grandi” anziani, che hanno superato la soglia degli 80 anni, e il numero è destinato ad aumentare in futuro. Ma se
invecchiare è un privilegio, è allo stesso tempo anche una sfida che ci costringe a interrogarci sulle conseguenze dell’inverno
demografico e a progettare politiche da mettere in campo per garantire cure, assistenza e tutele anche a quanti non sono più
autosufficienti.

 


Non è un Paese per anziani

 

di Antonella Patete
Giornalista, Redattore Sociale

Educazione all’uso corretto degli antibiotici, per garantire che i pazienti ricevano l'antibiotico corretto solo se necessario e per la giusta durata

Leadership nelle politiche globali, per facilitare lo sviluppo di anti-infettivi, il loro uso corretto, garantire la disponibilità di farmaci e vaccini e favorirne l’accesso

STRATEGIA PFIZER

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Approfondimento

Livio Giugliuto / Istituto Piepoli

Approfondimento

Andrea Fasano

Approfondimento

Luigi Scavone

Approfondimento


I numeri dell’impegno di Pfizer

Anno dopo anno, l’Italia diventa un paese sempre più vecchio. Lo attesta periodicamente l’Istituto Nazionale di Statistica restituendoci la
fotografia di una società in cui gli anziani aumentano e i bambini diminuiscono. L’ultimo Rapporto sugli indicatori demografici, diffuso alla
fine dello scorso marzo, registra un’età media di 46,6 anni. In crescita soprattutto l’esercito degli ultra 65enni, che a inizio 2024 conta 14
milioni 358mila individui e costituisce il 24,3% della popolazione totale, vale a dire quasi 1 persona su 4. Ma colpisce ancora di più il
numero dei “grandi anziani”, quelli che hanno superato la soglia degli 80
: sono 4 milioni 554mila, quasi 50mila in più rispetto ai 12
mesi precedenti e, allo stato attuale, risultano più numerosi dei bambini sotto i 10 anni di età. Un rapporto radicalmente cambiato nel
tempo, perché era di 2,5 bambini con meno di 10 anni a fronte di 1 ultra ottantenne 25 anni fa e di 9 contro 1 se si guarda a 50 anni fa.

Complice anche il calo delle nascite, l’invecchiamento della popolazione è destinato a crescere negli anni: le proiezioni dell’Istat dicono
che nel 2050 gli ultra 65enni saranno 1 su 3, esattamente il 34,5% del totale della popolazione. Ma se invecchiare è un privilegio, è
senz’altro anche una sfida per un Paese chiamato a interrogarsi sulle conseguenze dell’inverno demografico. Che tipo di società abbiamo
davanti
e come può il sistema sociale e sanitario adeguarsi tempestivamente ai mutamenti in corso e alle nuove esigenze che essi
comportano? Lo abbiamo chiesto ad alcuni esperti nell’ambito della sociologia, della demografia e della geriatria.

46,6 anni

l’età media degli italiani

24,3%

la quota di popolazione italiana over 65

 

4.554.000

gli italiani over 80

1 su 3

gli italiani over 65 nel 2050

 

“Colpisce la rapidità con cui il processo di invecchiamento sta
avvenendo, costringendoci ad adattare il nostro welfare a un
cambiamento sociale così veloce. A complicare le cose si
aggiunge la questione dei costi economici della non
autosufficienza, che diventa un’ulteriore fonte di
disuguaglianza.

L’Italia è il paese europeo con il minore tasso di povertà della
popolazione anziana, ma con un grande problema di povertà
quando gli anziani sono non autosufficienti. Di fronte a questa
novità le politiche non riescono a tenere il passo, i meccanismi
di programmazione sono ancora all’inizio. Finora, infatti, della
questione della non autosufficienza ci siamo occupati per lo
più in maniera frammentata e senza riconoscerla come tale.

In Italia l’assistenza domiciliare pubblica (ADI) consiste in
singole prestazioni per specifici bisogni e per brevi periodi,
quindi si tratta di un modello clinico-ospedaliero che non si
adatta bene alla non autosufficienza.
D’altra parte, l’assistenza fornita dai Comuni può essere
attivata solo a favore di soggetti privi di rete familiare o in
condizione di povertà. Uscire da una traiettoria di lungo
periodo come questa, che vede nel modello ospedaliero e
assistenziale l’unico approccio possibile alla non
autosufficienza, non è semplice.
Il nostro Stato sociale è stato disegnato nei 30 anni successivi
alla Seconda guerra mondiale, quando gli anziani non
autosufficienti ancora non c’erano.

Dagli anni ‘80 in poi l’Italia ha cominciato a fornire una serie
di risposte eterogenee e non coordinate, che negli ultimi tempi
stiamo cercando di mettere a sistema.

Non-autosufficienza: una sfida da riconoscere
e affrontare

Cristiano Gori, Professore ordinario di Politica sociale
nel Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università
di Trento e coordinatore del
Patto per la non autosufficienza

Italia, un paese a invecchiamento rapido
• Necessarie risposte legislative omogenee
e coordinate
• La non-autosufficienza fa crescere le disuguaglianze

Alla legge delega 33/23 in materia di politiche in favore delle persone anziane è seguito un decreto attuativo più debole, che non contiene tutti gli elementi di novità che ci si attendeva.
Ma è la prima volta che ci si occupa di questo tema a livello di politiche centrali e i processi decisionali, si sa, prevedono dei tempi molto
lunghi. Resta però il dubbio che non sia possibile permetterci un percorso così lento dal momento che siamo così indietro”.

 

L'importanza della rete familiare e sociale

Sempre più longevi dunque, ma anche più soli. Questo è solo uno dei paradossi dell’allungamento della vita. Perché con l’età media
che avanza e le famiglie che faticano a conciliare vita privata e lavoro, se non proprio ad arrivare alla fine del mese, gli anziani rischiano
di perdere quella rete familiare e sociale che per secoli ha rappresentato una garanzia di cura e accudimento.

A lanciare l’allarme è stata la Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti (FADOI), che lo scorso anno ha denunciato
la permanenza impropria in ospedale da parte dei pazienti anziani che in oltre il 50% dei casi restano in reparto circa una
settimana in più del necessario
, perché non hanno nessun familiare o badante in grado di assisterli a casa (75,5%) e neppure la
possibilità di entrare in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA).

I dati diffusi dalla FADOI, sulla base di un’indagine condotta su 98 strutture ospedaliere, chiariscono, inoltre, che il 64,3% di quanti
protraggono il ricovero oltre il necessario resta in ospedale perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio, mentre il
22,4% ha difficoltà ad attivare l’ADI. A conti fatti, insomma, la permanenza impropria in ospedale degli over 70enni, che rappresentano
metà dei ricoverati, si traduce in più di 2 milioni di giornate di degenza, con un costo per il Servizio Sanitario Nazionale di circa 1
miliardo e mezzo l’anno.

Poi, una volta dimessi, il 24,5% dei pazienti ultra 70enni torna direttamente a casa (il 41,8% avendo però almeno attivato l’assistenza
domiciliare), mentre il 15,3% va in una RSA e il 18,4% in una struttura intermedia.



“L’indagine rileva quanto purtroppo tocchiamo con mano quotidianamente, ossia la necessità di farsi
carico di problematiche sociali che finiscono per pesare indebitamente sugli ospedali
e sui reparti di
medicina interna in particolare”.
(Francesco Dentali, presidente FADOI)
 

Il peso della fragilità

L’Italia, che è fra i primi Paesi al mondo per longevità, deve fare i conti anche con un altro elemento critico: il fatto che la fragilità cresca
più velocemente dell’aspettativa di vita
. Un dato che emerge dall’indagine “Trend di fragilità e Long-term care in Italia”, presentata nel
2023 da Italia Longeva, l’Associazione nazionale per l’invecchiamento e la longevità attiva, istituita nel 2011 dal Ministero della Salute,
insieme alla Regione Marche e l’Inrca-Irccs di Ancona.
L’indagine, realizzata grazie all’esame di oltre 8 milioni di cartelle cliniche di pazienti in carico ai medici di medicina generale, rileva
che tra il 2011 e il 2021 gli italiani sopra i 50 anni con fragilità lieve, moderata o severa sono passati dal 26% al 40%, per un totale
di oltre 11 milioni di persone
e un trend di crescita costante.

La fragilità è più diffusa al Sud che al Nord, con la Campania e la Sicilia con la più alta prevalenza di persone fragili (rispettivamente
15,3% e 13,9%) e la Valle d’Aosta e il Piemonte con quella più bassa (7% e 7,8%). Sono le regioni settentrionali (Piemonte, Liguria,
Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), insieme a Marche e Toscana, a offrire servizi di ADI e RSA proporzionati al
numero di anziani con fragilità severa residenti nella stessa regione.
I dati, tuttavia, mostrano un incremento progressivo, ma con forte variabilità regionale, degli anziani che hanno potuto
beneficiare dell’offerta dell’assistenza domiciliare e residenziale. Infatti, se nel 2014 ha ricevuto l’assistenza domiciliare l’1,9% degli
over 65 residenti in Italia (poco più di 250mila), nel 2022 è stato interessato il 3,27% degli ultra 65enni (circa 460mila individui).
Analogamente, sono aumentati anche gli over 65 accolti nelle RSA, che sono passati dal 2,17% nel 2017 (poco più di 296mila persone) al
2,58% nel 2022 (oltre 360mila anziani).

Il rafforzamento dell’offerta, secondo Italia Longeva, non è però sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione anziana
fragile
. Se non si inverte questa traiettoria – fanno notare – il servizio sanitario rischia di non riuscire a sostenere il peso della fragilità,
che va di pari passo con l’aumento del carico di patologie croniche.


 

40%

le persone in Italia
che convivono
con una fragilità

 

11 mln

gli italiani
con fragilità lieve,
moderata o severa

 

“Si calcola che circa il 20% degli ultra 60enni abbia problemi di
fragilità, che non vuol dire avere una disabilità. Perché la
disabilità rappresenta il punto di non ritorno, intendendo in
questo caso per disabilità l’incapacità di percorrere 400 metri
in meno di 15 minuti.
La fragilità, che per semplificare possiamo definire come
l’incapacità di percorrere più di un metro al secondo,
costituisce, invece, una condizione precedente e reversibile.

Questa condizione, tuttavia, indica che una persona ha un
elevato indice di rischio perché può facilmente precipitare
nella disabilità con tutte le conseguenze personali e sociali,
anche in termini di costi, che essa comporta.
Proprio perché è possibile tornare indietro, bisognerebbe fare
almeno una volta l’anno appositi test riguardanti la forza,
l’equilibrio e l’andatura per registrare il livello di fragilità
dell’individuo e ricorrere a eventuali contromisure.

Mi riferisco a contromisure riguardanti soprattutto lo stile di
vita, l’esercizio fisico e l’intake proteico per cercare di
contrastare la sarcopenia. È necessario, dunque, mettere in
atto una strategia terapeutico-preventivo-gestionale, ma per
far questo occorre cultura, metodologia e organizzazione.

Ed è in questa cornice che dovrebbero muoversi sia il singolo
individuo che il Servizio Sanitario Nazionale, perché la
questione della fragilità deve essere presa sul serio e non
dovrebbe essere trascurata”.

La fragilità, condizione reversibile e prevenibile
Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva

Fragilità: incapacità di percorrere più di un metro
al secondo
• Il 20% degli ultra 60enni convive con questa
condizione
• Tornare indietro si può: occorrono test periodici
di forza, equilibrio, andatura
• Si previene grazie a stile di vita, esercizio
fisico, intake proteico

Over 75 in Italia: isolati, poco supportati, spesso poveri

Sulle condizioni di fragilità e sulla domanda di assistenza sociale e sanitaria espressa dalle persone con almeno 75 anni ci dice qualcosa di
più l’Istat che, nel 2021, ha elaborato un rapporto insieme alla Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria
per la popolazione anziana
, istituita presso il ministero della Salute e presieduta da Mons. Vincenzo Paglia.
I dati Istat tracciano una fotografia preoccupante della domanda di assistenza per gli over 75, aggravata dalla compromissione delle
capacità funzionali, dalla mancanza di supporto sociale, dal bisogno di sostegno e dalle difficili condizioni economiche e abitative.

Su 6,9 milioni di ultra 75enni oltre 2,7 milioni presentano gravi difficoltà motorie, comorbilità e compromissioni (moderate o
severe) dell’autonomia
nelle attività quotidiane.
Di queste persone, 1,2 milioni dichiarano di non poter contare su un aiuto adeguato alle proprie necessità: in particolare, quasi un milione
di essi vivono da soli oppure con altri familiari essi stessi però over 65 senza supporto o con un livello di aiuto insufficiente. Infine, fra
questi ci sono circa 100mila anziani, soli o con familiari anziani che, oltre a non avere aiuti adeguati, sono anche poveri e non hanno
la possibilità di accedere a servizi a pagamento per ricevere l’assistenza che gli occorre.


 

2,7 mln

le persone con gravi
difficoltà motorie,
comorbilità, compromissioni
nelle attività quotidiane

“Gli anziani spesso vengono estromessi da misure di salvaguardia sanitaria, come avvenuto durante la pandemia, quando i posti in terapia intensiva erano destinati ai più giovani.
Questa impostazione è stata introiettata dagli anziani stessi,
convinti che non possano essere utili alla società né attivi”.

(Diego De Leo, Presidente AIP)

Che la solitudine impatti anche sulla salute e la qualità della vita delle persone anziane è stato messo in evidenza da più parti.
La Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (SIGOT) ricorda come la solitudine non rappresenti solo un problema sociale, ma
anche clinico
, essendo associata a un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari.

Mentre il tema della solitudine e del cosiddetto ageismo come causa specifica di depressione è stato recentemente messo in risalto in
occasione del 24esimo Congresso dell'Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP), che lo scorso aprile ha aperto una finestra su uno
scenario allarmante
: in Italia il 38% dei suicidi riguarda persone con più di 65 anni di età.


 

Carta di Firenze: un'alleanza contro le discriminazioni basate sull'età

Contro lo stigma basato sull’età, lo scorso aprile è
stata diffusa la Carta di Firenze, il primo Manifesto
mondiale contro l’ageismo sanitario
, un documento
realizzato da un panel internazionale di esperti coordinati
da Andrea Ungar, ordinario di Geriatria all’Università di
Firenze e presidente della Società Italiana di Gerontologia
e Geriatria (SIGG), e dal professore Luigi Ferrucci,
direttore scientifico del National Institute on Aging di
Baltimora.
La Carta arriva tre anni dopo l’ultimo Rapporto
sull’ageismo stilato da OMS e ONU
nel marzo del 2021,
che ha evidenziato la necessità di politiche in grado di
affrontare la questione, oltre che di attività educative e
intergenerazionali che riducano i pregiudizi sulla base
dell’età.
Le 12 azioni concrete proposte nel Manifesto
per ridurre al minimo l’impatto negativo dell’ageismo
nell’assistenza sanitaria puntano innanzitutto
sull’educazione e la sensibilizzazione della popolazione e
sulla formazione: il tema dell’invecchiamento deve
diventare parte integrante del percorso formativo del
personale sanitario e degli assistenti sociali
. Seguono i
temi della prevenzione, della personalizzazione delle
terapie e della condivisione dei percorsi di cura.

Carta di Firenze: il primo Manifesto mondiale contro l’ageismo sanitario

• 12 azioni decisive per affrontare l’ageismo
• Le parole chiave: educazione e formazione
di assistenti sociali e personale sanitario
• Valorizzare l’autonomia della persona
in strutture ospedaliere “age-friendly”

Vi è poi il rifiuto delle discriminazioni e della scelta delle terapie in base all’età anagrafica e l’inclusione degli anziani nelle
sperimentazione cliniche
che testano cure e interventi potenzialmente utili per loro.

Tra le azioni da mettere in campo anche il maggior coordinamento tra assistenza medica e sociale, percorsi prioritari all’interno dei
Pronto soccorso e la realizzazione di strutture ospedaliere age-friendly, ovvero comprensive di ambienti dove i pazienti non
siano costretti a rimanere immobili a letto, ma abbiano la possibilità di occuparsi della cura della propria persona, di fare
riabilitazione e di socializzare.

Importante, infine, l’accesso all’assistenza sanitaria garantito e il coinvolgimento degli anziani nello sviluppo delle tecnologie
sanitarie che li riguardano. Azioni come queste, secondo i promotori della Carta, non solo possono migliorare la qualità della vita
cittadini senior, ma anche contribuire a ridurre i costi socio-sanitari legati alle loro patologie.


 

“In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all’età si ritengono
gli anziani già ‘titolari di una quantità di vita sufficiente’, ormai
gravosi per il sistema sociale ed economico. Quasi un effetto
collaterale del successo medico che ha cronicizzato le malattie,
determinando un incremento della coesistenza di più
patologie nello stesso individuo.
È aumentato così il numero di anziani da assistere e, con esso,
la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione degli
anziani nell’ambito sanitario.

Infatti, nonostante rappresentino la maggioranza dei malati
con patologie croniche quasi sempre concomitanti, il 40%
degli anziani è tagliato fuori dalle terapie più avanzate e
appropriate e dai protocolli sperimentali senza valide ragioni
mediche, ma solo in base all’età.
Gli effetti negativi dell’ageismo influenzano anche la longevità,
con una probabilità fino a 4 volte più alta di morire nelle
persone anziane che hanno un’auto-percezione negativa
dell’invecchiamento rispetto a coloro che hanno una visione
positiva della vecchiaia.

Interiorizzare stigma e pregiudizi potrebbe essere un nuovo
fattore di rischio per una vita più lunga. È necessario anche un
cambiamento di paradigma nell’approccio alla cura
dell’anziano che non può essere trattato ‘a pezzetti’, di volta in
volta dal cardiologo, dal neurologo, dal diabetologo, ma deve
essere seguito con il necessario sguardo di insieme dal
geriatra come medico della complessità”.

Stigma e pregiudizi minacciano la salute degli anziani
Andrea Ungar,
Presidente SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria), coordinatore della Carta di Firenze


• Discriminazione sanitaria degli anziani: un
problema in crescita
• Anziani esclusi da terapie avanzate e protocolli
sperimentali
• Una visione negativa della vecchiaia comporta
un rischio di morte 4 volte più alto

Il caso della talidomide

I motivi di questa esclusione risalgono a diversi decenni fa. Già nel 1977, per esempio, la Food and Drug Administration – l’ente regolatorio americano per la sicurezza dei farmaci – raccomandava di escludere le “donne potenzialmente fertili” dagli studi di Fase I e di Fase II.
Un approccio molto restrittivo che derivava, in primo luogo, dalla questione della talidomide, un farmaco largamente prescritto negli anni Cinquanta e Sessanta come sedativo, e alle donne in gravidanza come antiemetico per tenere sotto controllo le nausee.
La talidomide si rivelò teratogena, ovvero in grado di provocare anomalie nello sviluppo: migliaia delle donne che avevano assunto il farmaco durante i nove mesi diedero infatti alla luce bambini con malformazioni agli arti, tragedia i cui effetti sono visibili ancora oggi.
Da quel momento, il divieto di inclusione del sesso femminile nei trial è divenuto prassi, indipendentemente dalla capacità delle singole donne di restare incinte, dalla loro attività sessuale, dall'uso di contraccettivi, dall’ orientamento sessuale, dall'eventuale sterilità dei partner o anche dal desiderio di avere un figlio.
E senza contare che diverse pubblicazioni hanno poi indicato che la teratogenicità può essere trasmessa anche attraverso il liquido seminale maschile.

Il “caso talidomide” esplose all’inizio degli anni ‘60, e tenne banco su tutti i principali quotidiani.
Il farmaco fu sviluppato sul finire degli anni ‘50 da un’azienda tedesca, la Grünenthal, che lo presentò come una soluzione terapeutica dalle grandi potenzialità. Un anestetico efficace contro un gran numero di sintomi, tra cui soprattutto la nausea mattutina: uno dei disturbi più comuni legati allo stato di gravidanza. Ben presto emerse un collegamento inquietante. Si scoprì che i figli di madri che avevano fatto uso del talidomide presentavano un elevato rischio di sviluppare malformazioni permanenti, quali la focomelia: a venire colpiti furono oltre 20.000 bambini.
In Germania occidentale, Svezia e Gran Bretagna i prodotti con talidomide furono ritirati nel 1961.
In Italia, il farmaco venne ritirato nel settembre 1962.

1993 – la FDA raccomanda l’inclusione delle donne nei trial. È il primo cambio di passo a livello globale.

2005 – l’EMA pubblica le linee guida sulla partecipazione femminile nei trial

2011 – AIFA istituisce il Gruppo di Lavoro su farmaci e genere

2012 – Health Canada pubblica le Considerazioni sull'inclusione delle donne negli studi clinici e sull'analisi dei dati per sesso

2018 – Con la legge 3/2018, anche l’Italia si impegna a garantire rappresentatività di genere nei trial

2023 – l’Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere dell’istituto Superiore di Sanità pubblica delle linee di indirizzo sulla medicina di genere

Tanta la strada ancora da fare

Grandi passi avanti che tuttavia non hanno ancora trovato una piena applicazione nella pratica clinica: uno studio condotto nel 2021 da Jecca Steinberg della Northwestern Feinberg School of Medicine di Chicago, e pubblicato su JAMA (Analysis of Female Enrollment and Participant Sex by Burden of Disease in US Clinical Trials Between 2000 and 2020) notava infatti come il bias relativo al sesso sia ancora presente, almeno negli studi condotti negli USA: l’analisi di circa 20.000 studi clinici pubblicati dal 2000 al 2020 mostra come in oncologia, neurologia, immunologia e nefrologia continui ad esserci una bassa rappresentatività delle donne.
In Asia le cose non vanno diversamente: nel 2020, uno studio di Xurui Jin del Global Heath Research Center, Duke Kunshan University, in Cina, mostrava come su 740 studi cardiovascolari condotti tra il 2010 e il 2017, solo il 38,2% dei partecipanti fosse di sesso femminile, così come in altri trial relativi ad aritmia, malattia coronarica, sindrome coronarica acuta e insufficienza cardiaca.
A preoccupare, come si diceva, non è solo la mancanza di donne sin dalle prime fasi della sperimentazione, ma anche la disattenzione verso il sesso nelle sperimentazioni con modello animale, tessuti o linee cellulari, dalle quali proviene la maggior parte dei dati sui nuovi farmaci: circa l’80% di questi studi non clinici utilizza solo animali maschi e cellule di sesso maschile.

Bibliografia
Report Istat “Indicatori demografici - Anno 2023” intitolato “Popolazione quasi stabile grazie alle immigrazioni dall’estero”. https://www.istat.it/it/files//2024/03/Indicatori_demografici.pdf
Report Istat “Previsioni della popolazione residente e delle famiglie | base 1/1/2022” intitolato “Il Paese domani: una popolazione più piccola, più eterogenea e con più differenze”.
https://www.istat.it/it/files/2023/09/Previsioni-popolazione-e-famiglie.pdf
Indagine FADOI “Ospedali, anziani dimessi 7 giorni più tardi. Oltre 2 giornate di degenza improprie”.
https://www.fadoi.org/press-room/ospedali-anziani-dimessi-7-giorni-piu-tardi-oltre-2-giornate-di-degenza-improprie-lindagine-fadoi
Indagine “Trend di fragilità e long-term care in Italia – 2023” curata da Italia Longeva in collaborazione con la Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute e la Società Italiana di Medicina
Generale e delle Cure Primarie. https://www.italialongeva.it/wp-content/uploads/2023/07/Indagine-Italia-Longeva-2023.pdf
Istat, “Gli anziani e la loro domanda sociale e sanitaria anno 2019”.
Comunicato stampa Istat. https://www.istat.it/it/archivio/258319
Rapporto della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana, pubblicato il 7 giugno 2021. https://www.istat.it/it/files//2021/06/rapporto_commissione_anziani.pdf
Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio – SIGOT: audizione del 14/02/2024 presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati sullo schema di decreto legislativo recante politiche in favore delle persone anziane (disposizioni attuative della Legge n.33 del 23 marzo 2023 sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti). Comunicato stampa SIGOT 14/03/2024 .
https://www.sigot.org/allegato_news/1925_CS-SIGOT-Legge33_REV.pdf
24esimo Congresso dell'Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP). Nota stampa sui principali argomenti affrontati, pubblicata sulla testata giornalistica Redattore Sociale.
https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/suicidi_tra_gli_anziani_italia_maglia_nera_in_europa
24esimo Congresso dell'Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP). “Il Suicidio nel Grande Anziano: Warning Signs e Fattori di Rischio”, di Diego De Leo.
https://psicogeriatria.it/wp-content/uploads/2024/05/Diego-De-Leo-1.pptx
“ANTI-AGEISM ALLIANCE. A global geriatric task force for older adults’ care”. “Carta of Florence against ageism:
no place for ageism in healthcare” in https://www.sigg.it/news/anti-ageism-alliance-a-global-geriatric-task-force-for-older-adults-care.
“Carta of Florence Against Ageism: No Place for Ageism in Health care”, pubblicato su “European Geriatric Medicine”.
https://www.sigg.it/wp-content/uploads/2024/03/charta-of-florence-eur-ger-med.pdf
“Carta of Florence Against Ageism: No Place for Ageism in Health care”, pubblicato su “The Journals of Gerontology”.
https://www.sigg.it/wp-content/uploads/2024/03/charta-of-florence-j-gerontology.pdf
La Carta di Firenze: non c’è posto per l’ageismo nell’assistenza sanitaria. Sintesi in lingua italiana. https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/la_carta_di_firenze_non_c_e_posto_per_l_ageismo_nell_assistenza_sanitaria
Organizzazione delle Nazioni Unite (World Health Organization, United Nations Department of Economic and Social Affairs, United Nations Population Fund, United Nations Office of the High Commissioner for Human Rights).
Rapporto “Global report on ageism”, pubblicato il 18/03/2021. https://www.who.int/publications/i/item/9789240016866
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