LONGFORM
La lunga marcia
delle terapie avanzate
Utilizzare cellule staminali espanse in laboratorio per ricostruire tessuti danneggiati. Trasportare nelle cellule un gene sano per sopperire a quello difettoso. Programmare linfociti geneticamente modificati per combattere i tumori. Sono i paradigmi delle terapie avanzate, conosciute anche come ATMP (Advanced Therapy Medicinal Products), frontiera tecnologicamente all'avanguardia della ricerca e della medicina moderna. Questi trattamenti hanno il potenziale di trasformare la cura di molte malattie – dalle patologie neuromuscolari ai tumori, dalle lesioni alle immunodeficienze – offrendo soluzioni che vanno oltre le capacità dei trattamenti classici.
E i risultati clinici, seppur ancora limitati a poche condizioni, sono ormai sotto gli occhi di tutti.
ATMP: una rivoluzione sostenibile?
di Rachele Mazzaracca
Giornalista scientifica
Gli ATMP sono considerati farmaci rivoluzionari sotto diversi aspetti.
In primo luogo per la loro struttura: le terapie avanzate, più delle molecole classiche, sono in grado di interagire con l'organismo che le riceve a fini terapeutici.
In secondo luogo, perché richiedono percorsi completamente diversi e innovativi in termini di produzione, accesso e sostenibilità.
Questi farmaci, inizialmente nati per le malattie rare e ultrarare, si stanno estendendo anche ad altre malattie. Un esempio su tutti sono le CAR-T, che stanno cambiando il panorama delle terapie oncoematologiche e si stanno affacciando al mondo dei tumori solidi e delle malattie immunologiche.
Le terapie avanzate hanno permesso di scrivere un nuovo capitolo della medicina moderna.
L’obiettivo era – ed è – quello di dare ai pazienti possibilità terapeutiche prima impensabili, che non potevano essere soddisfatte dagli approcci più “classici”. Sono trattamenti progettati sulle caratteristiche specifiche della malattia, o meglio ancora del paziente stesso: si sta costruendo la strada che porta sempre più vicino al traguardo della medicina personalizzata.
Le terapie avanzate
hanno permesso di scrivere
un nuovo capitolo
della medicina moderna.
Una storia iniziata mezzo secolo fa
La storia delle terapie avanzate è relativamente recente, anche se i primi passi sono stati mossi negli anni Sessanta e Settanta, periodo a cui risalgono la scoperta delle tecnologie del DNA ricombinante, i primi trapianti di midollo osseo e quelli di epidermide.
La prima sperimentazione clinica di terapia genica è del 1990, anno in cui una bambina affetta da ADA-SCID (acronimo per immunodeficienza severa combinata da deficit di adeanosina deaminasi) – una gravissima e rara malattia che colpisce il sistema immunitario, lasciandolo inerme agli attacchi di agenti patogeni – è stata sottoposta a un trattamento in grado di veicolare alle sue cellule staminali del sangue una copia sana del gene difettoso.
Da quel primo successo, la ricerca ha fatto passi da gigante, pur con non poche difficoltà e battute d’arresto.
Quello che era solo un protocollo sperimentale è diventata una terapia reale e disponibile per i pazienti: la prima terapia genica ex vivo a ottenere nel 2016 un’approvazione a livello mondiale che a oggi ha salvato almeno 40 bambini. Ed è un risultato tutto italiano: questa terapia, infatti, è stata sviluppata al San Raffaele Telethon Institute for Gene Therapy (SR-Tiget) di Milano, dove Luigi Naldini e Alessandro Aiuti dirigono programmi all’avanguardia nel campo della terapia genica.1
I ricercatori italiani sono stati pionieri in vari campi della biotecnologia e delle terapie avanzate. Oltre alla prima terapia genica ex vivo al mondo, nel nostro Paese è stato ideato anche il primo prodotto di ingegneria tissutale a base di cellule staminali per il trattamento delle ustioni oculari. L’Italia può vantare alcuni tra i maggiori esperti di terapie avanzate al mondo, e una fama internazionale costruita su solide pubblicazioni scientifiche e su terapie di concreto successo ideate in laboratorio, sviluppate in clinica e approvate da parte degli enti regolatori per l’accesso ai pazienti.
La storia delle terapie avanzate in Europa entra nel vivo con l’arrivo del nuovo millennio: nel 2009 è stata, infatti, approvata una terapia cellulare per il trattamento di singole lesioni sintomatiche a carico della cartilagine del condilo femorale del ginocchio, terapia ritirata dal mercato nel 2016 per ragioni commerciali.
E un altro importante traguardo è stato raggiunto nei mesi scorsi. Un anno dopo l'approvazione negli Stati Uniti, anche in Europa è stata approvata2 per il trattamento di due patologie del sangue - beta talassemia e anemia falciforme - la prima terapia basata su CRISPR: un avanzato sistema di editing del genoma, che permette di modificare materiale genetico con grande precisione, messo a punto dalle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna - nel 2020 insignite del Nobel per la Chimica.3
Oggi in Europa sono ben 19 le terapie avanzate approvate, di cui 14 anche in Italia (11 terapie geniche di cui 5 CAR-T, 1 terapia cellulare e 2 prodotti di ingegneria tissutale).
Il panorama delle terapie avanzate è sempre più vasto e le malattie per cui si sta cercando una soluzione di questo tipo aumentano: si stima che entro il 2030 potrebbero essere lanciate fino a 60 nuove terapie geniche e cellulari a livello globale. L’Alliance for Regenerative Medicine (ARM), la principale organizzazione internazionale che si occupa di questi temi e che vede coinvolte tutte le parti interessate (enti no profit, aziende, ricercatori, associazioni di pazienti), pubblica ogni anno diversi report che analizzano lo stato e gli orizzonti delle terapie avanzate.4 Il più recente è quello pubblicato a maggio 2024, con l’analisi del primo trimestre dell’anno in materia di studi clinici, investimenti e crescita.
Stando ai dati condivisi dall’ARM, per quanto riguarda gli studi clinici, sono 112 le sperimentazioni in fase avanzata (Fase III), di cui la metà riguarda le terapie geniche. Ma la ricerca è molto attiva e ciò è dimostrato anche dagli oltre 1300 trial clinici agli inizi (Fase I e I/II), con una distribuzione geografica che vede Stati Uniti e Asia ai primi posti. Le aziende sono per lo più localizzate negli Stati Uniti, con una preferenza per lo studio degli approcci di terapia genica, cellule modificate geneticamente e immuno-oncologia basata su cellule. In Europa sono 360 gli studi clinici, con una cinquantina già in fase avanzata. Dal punto di vista degli investimenti il settore sta però calando: dopo il boom del 2020-21 con picchi che hanno superato i 20 miliardi di dollari, nel 2024 gli investimenti superano di poco i 7 miliardi.
Come emerge dal report Horizon Scanning: lo scenario dei medicinali in arrivo5 pubblicato di recente dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), tra i 104 farmaci attualmente in valutazione in Europa, tre sono terapie avanzate. Una per il trattamento dell’emofilia B grave e moderatamente grave. La seconda una terapia genica topica per il trattamento dell’epidermolisi bollosa distrofica. Entrambe le terapie sono già state approvate negli Stati Uniti nel 2023. L’ultima terapia avanzata, che a differenza delle prime due non rientra nella classificazione di farmaco orfano, è un medicinale il cui principio attivo sono condrociti autologhi di cartilagine articolare per il trattamento dei difetti della cartilagine del ginocchio.
Trial clinici per terapie avanzate: cosa cambia e cosa manca?
Portare un farmaco all’approvazione richiede importanti investimenti, molto tempo, ma soprattutto tanta ricerca e studio. Ma i trial clinici non sono tutti uguali e nel caso delle terapie avanzate le potenzialità terapeutiche, le sfide e i rischi rispecchiano l’uso di materiale genetico e cellule.
“Gli studi clinici sono molto più complessi, impegnativi e con visite frequenti, soprattutto nei primi mesi successivi all’infusione della terapia, cioè quelli con rischi maggiori in termini di sicurezza. Il vantaggio è che si tratta di terapie one-shot, ma dubbi e incertezze sul futuro e sui tempi di durata della terapia restano. È ovvia la necessità di istituire una cabina di regia a livello nazionale sulle terapie avanzate a competenze multiple, integrata dalle Associazioni di pazienti e dalle professionalità dedicate. Questo col fine di individuare dei criteri minimi indispensabili e indissolubili che il centro deve avere per poter essere accreditato a livello strutturale, organizzativo e tecnologico, ma anche occuparsi del tema della formazione, cruciale per rendere uniforme la presa in carico dei pazienti su tutto il territorio nazionale. Le lacune ci sono e vanno colmate: non solo unità dedicate, ma regole uniformi per l’accreditamento dei centri clinici e percorsi di presa in carico multidisciplinare e di reti efficienti”.
Marika Pane, Direttore Clinico dell’U.O.C. NeMO Pediatrico - Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma
Oggi più che mai è evidente
la necessità di unità dedicate
alle terapie avanzate
e di una adeguata formazione
degli operatori.
Risolvere la causa di una malattia all’origine nella speranza di curare definitivamente il paziente è l’obiettivo delle terapie avanzate. Ma bisogna fare i conti con la realtà e con ciò che si è scoperto studiando gli effetti – positivi e negativi – di queste terapie sulle persone che hanno partecipato ai trial clinici. Un esempio è dato dai problemi legati alla risposta immunitaria che viene scatenata se si entra in contatto due volte con i virus usati come vettori nelle terapie geniche: per questo motivo non è possibile somministrare più di una dose e questo limita le applicazioni terapeutiche, specialmente ora che ancora non è possibile sapere con certezza la durata degli effetti delle terapie.
Un altro aspetto, che vale in generale per tutte le sperimentazioni cliniche, è il ridotto numero di trial clinici che riesce a superare le prime fasi. Anche di fronte a dati inizialmente molto promettenti, quando si passa a studiare gli effetti di una terapia sugli esseri umani, i risultati possono tradire le aspettative, facendo cadere le terapie nella prima “valle della morte” delle sperimentazioni. Fattore reso anche più complesso nel caso delle malattie rare, in cui il ridotto numero di pazienti e la gravità delle situazioni cliniche rende tutto più difficile. La seconda “valle della morte” è quella che si affronta dopo l’approvazione, quando iniziano a palesarsi i problemi di sostenibilità e accesso.
Il caso della talidomide
I motivi di questa esclusione risalgono a diversi decenni fa. Già nel 1977, per esempio, la Food and Drug Administration – l’ente regolatorio americano per la sicurezza dei farmaci – raccomandava di escludere le “donne potenzialmente fertili” dagli studi di Fase I e di Fase II.
Un approccio molto restrittivo che derivava, in primo luogo, dalla questione della talidomide, un farmaco largamente prescritto negli anni Cinquanta e Sessanta come sedativo, e alle donne in gravidanza come antiemetico per tenere sotto controllo le nausee.
La talidomide si rivelò teratogena, ovvero in grado di provocare anomalie nello sviluppo: migliaia delle donne che avevano assunto il farmaco durante i nove mesi diedero infatti alla luce bambini con malformazioni agli arti, tragedia i cui effetti sono visibili ancora oggi.
Da quel momento, il divieto di inclusione del sesso femminile nei trial è divenuto prassi, indipendentemente dalla capacità delle singole donne di restare incinte, dalla loro attività sessuale, dall'uso di contraccettivi, dall’ orientamento sessuale, dall'eventuale sterilità dei partner o anche dal desiderio di avere un figlio.
E senza contare che diverse pubblicazioni hanno poi indicato che la teratogenicità può essere trasmessa anche attraverso il liquido seminale maschile.
Il “caso talidomide” esplose all’inizio degli anni ‘60, e tenne banco su tutti i principali quotidiani.
Il farmaco fu sviluppato sul finire degli anni ‘50 da un’azienda tedesca, la Grünenthal, che lo presentò come una soluzione terapeutica dalle grandi potenzialità. Un anestetico efficace contro un gran numero di sintomi, tra cui soprattutto la nausea mattutina: uno dei disturbi più comuni legati allo stato di gravidanza. Ben presto emerse un collegamento inquietante. Si scoprì che i figli di madri che avevano fatto uso del talidomide presentavano un elevato rischio di sviluppare malformazioni permanenti, quali la focomelia: a venire colpiti furono oltre 20.000 bambini.
In Germania occidentale, Svezia e Gran Bretagna i prodotti con talidomide furono ritirati nel 1961.
In Italia, il farmaco venne ritirato nel settembre 1962.
Il prodotto è il processo, il processo è il prodotto
Le terapie avanzate sono a tutti gli effetti dei farmaci ma, a differenza di quelli tradizionali, diverse di queste terapie nascono dalle stesse cellule del paziente a cui sono destinate.
La natura particolare di queste terapie rende particolarmente complessi i processi di produzione, che richiedono siti produttivi di alta qualità, veri e propri laboratori di ultima generazione dotati di strumentazioni ultra-sofisticate, regolati da parametri molto stringenti e gestiti da professionisti specificamente formati. Numerose le sfide di natura logistica e tecnica, che vanno dalla scelta dei materiali al congelamento del prodotto. Tutto questo deve essere sostenuto da investimenti ingenti che incidono sul costo finale delle terapie avanzate.
Inoltre, l’intero processo produttivo di un trattamento personalizzato può richiedere molto tempo: il caso di terapie come le CAR-T, in cui il fattore tempo è determinante per la sopravvivenza dei pazienti, ha messo in evidenza come sia necessario cercare soluzioni in grado di ottimizzare i protocolli.
“Sono cellule e come tali non possono essere sterilizzate, ma la sterilità è un parametro fondamentale e, di conseguenza, va garantita per la salute del paziente. Bisogna quindi agire sul processo e predisporre sistemi di produzione che permettano di recuperare cellule di alta qualità. I sistemi di produzione per questi farmaci utilizzano la SUT (Single Use Technology) con bioreattori monouso appropriati per la coltura di cellule come prodotto finito. L’espansione della coltura (scale-up), che ha lo scopo di rispondere alle diverse necessità, è modulare e permette di controllare numero, vitalità e stabilità delle cellule. Quali sono i vantaggi? Si evitano le contaminazioni, le cellule possono essere costantemente monitorate e i costi di allestimento dei bioreattori sono inferiori rispetto a quelli dei fermentatori classici tradizionali all’installazione di un bioreattore classico. Inoltre, questi sistemi sono valutati positivamente dagli enti regolatori, specialmente negli ultimi anni. Con l’avvento delle terapie avanzate allogeniche, e non più solo autologhe, il manufacturing pone sfide importanti anche in termini di sistemi di produzione, sia dal punto di vista pratico che della sostenibilità”.
Maria Luisa Nolli, membro del Board di Assobiotec, Chair SME Platform di EuropaBio e docente di Biotecnologie Avanzate presso l’Università di Pavia
Non solo ricerca e sviluppo, ma anche accesso e sostenibilità
Mentre il settore della ricerca e sviluppo dei farmaci procede con una accelerazione che non ha precedenti, l’ambito regolatorio fatica a mantenere gli stessi ritmi. Sebbene i tempi delle autorità regolatorie siano dettati in primo luogo dall’esigenza di tutelare al massimo la sicurezza dei pazienti, questo aspetto pone oggettivi problemi di accesso alle terapie. Un ostacolo alla diffusione delle terapie avanzate viene anche dai loro alti costi di sviluppo e mantenimento sul mercato che scoraggiano le biotech a investire nel settore.
Ma garantire l'accesso equo e tempestivo a queste terapie è un obiettivo fondamentale: si tratta di una grande sfida etica, finanziaria e logistica.
Proprio per assicurare la sostenibilità economica delle terapie avanzate, si stanno valutando modelli innovativi, tra cui modalità di rimborso particolari come, ad esempio, quello in base ai risultati ottenuti, modelli di rimborso solidale o tramite il supporto di una charity.
Case study per eccellenza in questo senso è quello di Fondazione Telethon, che nel 2023 si è fatta carico di mantenere in commercio il farmaco per ADA-SCID6 in seguito alla decisione della azienda che ne gestiva la commercializzazione di ritirare gli investimenti in quel settore. Solo qualche mese prima era stato il turno di altre due terapie geniche – per la beta talassemia e l’adrenoleucodistrofia – già approvate dall’European Medicines Agency (EMA) e subito ritirate dal commercio a causa del mancato accordo tra aziende e governi su prezzo e modalità di rimborso.
Sarebbe stata quindi una ennesima sconfitta: negare ai pazienti una terapia salvavita, dopo che anni di ricerca e investimenti hanno portato a risultati straordinari a livello medico-scientifico e alla messa in commercio di una opzione terapeutica efficace. Fondazione Telethon ha ricevuto il via libera dalla Commissione Europea per gestire questo passaggio e ora, oltre alla terapia genica per l’ADA-SCID, sta accompagnando nel processo di autorizzazione una terapia genica per la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS).
L’unica cosa che non potevamo fare era non fare niente
“Il collo di bottiglia sono le capacità, le risorse. La scienza ci dà molti strumenti per le malattie ultra-rare, per esempio, ma essendo di scarso interesse industriale a causa dei numeri ridotti che non permettono di sostenere i grandi investimenti, c’è un limite intrinseco. Le motivazioni economiche sono più che comprensibili, ma le conseguenze si ripercuotono sulle persone che hanno bisogno del farmaco e non potevamo permettere che accadesse. Il costo di una terapia avanzata, da inizio ricerca allo sviluppo commerciale, è ingente, e quelle che arrivano al mercato devono sostenere la ricerca anche di quelle che non riescono ad arrivare ai pazienti perché falliscono durante la fase di sviluppo. Per una charity come Telethon questi costi non ci sono, perché coperti dalle donazioni, ma restano tutti i costi fissi che – non essendo calcolati sul venduto – incidono moltissimo. Bisogna trovare soluzioni e il no profit non è una soluzione applicabile a tutte le malattie rare, anche se è riuscita a salvare una terapia avanzata approvata dal baratro. Bisogna organizzare un sistema di principio che sia sostenibile per le aziende e per i sistemi sanitari. Oltre a questo, le innovazioni tecniche contribuiranno a risolvere il problema: da anni ormai si investe molto sulla creazione di piattaforme terapeutiche, che abbiano, per esempio, il funzionamento di base uguale anche cambiando il gene da trasportare. Ma la ricerca, per quanto i tempi siano cambiati, richiede tempo e tanta sperimentazione”.
Celeste Scotti, Direttore della Ricerca e Sviluppo di Fondazione Telethon
L’unica cosa che non potevamo fare era non fare niente
1993 – la FDA raccomanda l’inclusione delle donne nei trial. È il primo cambio di passo a livello globale.
2005 – l’EMA pubblica le linee guida sulla partecipazione femminile nei trial
2011 – AIFA istituisce il Gruppo di Lavoro su farmaci e genere
2012 – Health Canada pubblica le Considerazioni sull'inclusione delle donne negli studi clinici e sull'analisi dei dati per sesso
2018 – Con la legge 3/2018, anche l’Italia si impegna a garantire rappresentatività di genere nei trial
2023 – l’Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere dell’istituto Superiore di Sanità pubblica delle linee di indirizzo sulla medicina di genere
Tanta la strada ancora da fare
Grandi passi avanti che tuttavia non hanno ancora trovato una piena applicazione nella pratica clinica: uno studio condotto nel 2021 da Jecca Steinberg della Northwestern Feinberg School of Medicine di Chicago, e pubblicato su JAMA (Analysis of Female Enrollment and Participant Sex by Burden of Disease in US Clinical Trials Between 2000 and 2020) notava infatti come il bias relativo al sesso sia ancora presente, almeno negli studi condotti negli USA: l’analisi di circa 20.000 studi clinici pubblicati dal 2000 al 2020 mostra come in oncologia, neurologia, immunologia e nefrologia continui ad esserci una bassa rappresentatività delle donne.
In Asia le cose non vanno diversamente: nel 2020, uno studio di Xurui Jin del Global Heath Research Center, Duke Kunshan University, in Cina, mostrava come su 740 studi cardiovascolari condotti tra il 2010 e il 2017, solo il 38,2% dei partecipanti fosse di sesso femminile, così come in altri trial relativi ad aritmia, malattia coronarica, sindrome coronarica acuta e insufficienza cardiaca.
A preoccupare, come si diceva, non è solo la mancanza di donne sin dalle prime fasi della sperimentazione, ma anche la disattenzione verso il sesso nelle sperimentazioni con modello animale, tessuti o linee cellulari, dalle quali proviene la maggior parte dei dati sui nuovi farmaci: circa l’80% di questi studi non clinici utilizza solo animali maschi e cellule di sesso maschile.
Il punto di vista dei pazienti
Se dal punto di vista scientifico il momento è quasi magico, l’innovazione va anche applicata al meglio, specialmente se si tratta di terapie all’avanguardia che possono riscrivere la storia clinica di una diagnosi con poche altre possibilità.
“Il mio campo di esperienza – personale e professionale – è l’ematologia oncologica. Per questo ambito è un momento storico straordinario: nuove terapie vengono approvate e si sta riscrivendo la gestione di intere aree terapeutiche. Con esse cambia la storia delle malattie, come quello che è successo con le CAR-T per il trattamento di alcuni tumori ematologici. La parola “cronicizzazione” è entrata nel vocabolario delle malattie oncologiche, dove prima il binomio che si prospettava alla diagnosi era vita-morte. Cosa volere di più? Innanzitutto, c’è la necessità di avere le terapie a disposizione di chiunque ne abbia bisogno, ma anche di un accesso regolatorio efficiente e che ragioni in termini di tempi del malato , e non in base alla tempistica di autorizzazione tra EMA e AIFA. Inoltre, nelle terapie avanzate non c’è solo l’accesso a livello regolatorio, ma quello della vita reale. La terapia è approvata, ma come arriva al paziente? Perché le questioni organizzative sono così rallentate e le disparità regionali enormi? Il problema della geolocalizzazione dei centri autorizzati e della migrazione dei pazienti resta sempre attuale e al momento è ancora lontano dall’essere risolto. Un altro punto sostanziale è il supporto psicologico: la base per gestire al meglio i percorsi di accompagnamento sia per il paziente che per il medico, e spesso grande assente quando viene disegnato un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale). I tre pilastri fondamentali per gestire al meglio questi percorsi, già complessi per loro stessa natura, sono informazione, formazione e comunicazione. E questo aspetto coinvolge tutti, dal paziente al personale medico”.
Davide Petruzzelli, La Lampada di Aladino ETS
Bisogna parlare di valore
delle terapie, non ragionare
soltanto in termini di costo
Grazie ai continui progressi nella ricerca, queste terapie hanno già riscritto la storia di alcune malattie e la speranza è che questo accada sempre più spesso in futuro. Trasformare una diagnosi dagli esiti incerti in un futuro di speranza non è scontato, ma oggi può accadere. Tuttavia, la sfida della sostenibilità rimane cruciale. In Italia qualcosa si sta muovendo a livello degli enti istituzionali: nei mesi scorsi il Senato ha approvato un Ordine del giorno che impegna il Governo a istituire in via sperimentale un fondo dedicato all'acquisto delle terapie avanzate per la cura di malattie rare, individuando per il suo utilizzo degli specifici criteri di accesso che tengano conto dei significativi effetti sulla qualità della vita dei pazienti con conseguente riduzione dei costi per il sistema, al fine di garantire un equo accesso a tutti i pazienti potenzialmente eleggibili7.
Un segnale importante. Ma la strada è ancora molto lunga. È fondamentale che governi ed enti regolatori in primis, ma anche aziende e comunità scientifica, lavorino insieme per superare gli ostacoli, garantendo che i benefici delle terapie avanzate possano essere estesi a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Bibliografia
1. Storia della terapia genica: https://www.osservatorioterapieavanzate.it/progetti/podcast-e-illustrazioni/reshape-la-terapia-genica-un-viaggio-lungo-50-anni
2. Approvazione prima terapia basata su CRISPR: https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/casgevy
3. Premio Nobel per la chimica 2020 (CRISPR) https://www.nobelprize.org/prizes/chemistry/2020/summary/
4. Dati da Alliance for Regenerative Medicine: https://alliancerm.org/data/
5. Horizon Scanning: lo scenario dei medicinali in arrivo – Rapporto AIFA 2024 https://www.aifa.gov.it/-/horizon-scanning-scenario-dei-medicinali-in-arrivo.-aifa-pubblica-il-rapporto-2024
6. Comunicato stampa di Fondazione Telethon per Strimvelis: https://www.telethon.it/storie-e-news/news/dalla-fondazione/prima-charity-responsabile-produzione-distribuzione-farmaco/
7. Fondo per le terapie avanzate https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Emendc&leg=19&id=1398576&idoggetto=1394071
Altre fonti utilizzate
Sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco: https://www.aifa.gov.it/terapie-avanzate
Sito dell’European Medicines Agency https://www.ema.europa.eu/en/human-regulatory-overview/advanced-therapy-medicinal-products-overview
Sito dell’International Society for Stem Cell Research https://www.isscr.org/
“Reshape - Un viaggio nella medicina del futuro” https://www.osservatorioterapieavanzate.it/progetti/podcast-e-illustrazioni